L’esempio da seguire è quello del vero capitano della storia, Gesù. Parola di Arcivescovo: «Perché Lui si è fatto bambino e noi dobbiamo fare altrettanto: dobbiamo tornare a esserlo nella nostra anima, nel profondo. Tornare a essere bambini significa essere semplici, di un’essenzialità che non significa banalità. Il bambino è generoso, aperto agli altri. E se lo sport viene vissuto con questo spirito ci offre la possibilità di crescere in umanità».
Il cardinale Dionigi Tettamanzi, da buon leader in campo, è colui che sintetizza al meglio lo spirito del Natale degli Sportivi, come da felice consuetudine appuntamento capace di andare in gol durante la serata svoltasi ieri sera, al Palasharp di Lampugnano. Il Cardinale ha dettato i tempi della partita che avvicina al Natale lo sport in oratorio: «Il mondo sportivo di oggi ha bisogno di ritrovare la semplicità, perché è divenuto sin troppo facile esaltare la vittoria. Anche a dispetto di scorciatoie come il doping. Occorre invece essere coraggiosi e discostarsi da quella tendenza che assimila lo sport al business o a manifestazioni distorte come il razzismo. È necessario ritrovare la fatica, il tempo, l’impegno. Siamo tutti degni della fiducia del Signore e con lo sport possiamo migliorare noi stessi e la società. Dobbiamo essere protagonisti e tornare in oratorio significherà allora andare avanti nella storia. E “Che storia!”», ha annunciato a gran voce l’Arcivescovo, cogliendo l’assist fornito dallo slogan della serata.
Ad ascoltarlo, oltre 5 mila tra dirigenti, famiglie e sportivi di ogni età. Con tanti, tantissimi bambini e ragazzi degli oratori. Poco prima Alan Rizzi, l’assessore allo Sport del Comune di Milano, aveva cinto il braccio dell’Arcivescovo con una fascia di capitano, simbolica investitura per una sfida da vincere tutti insieme. «Perché essere qui, così tanti, è un grande motivo di gioia. Ed è una gioia ancora più grande quella di avvicinarci al Natale: dobbiamo raccogliere le energie che ci fanno più buoni e giocare la partita più bella, quella della vita», ha spiegato Tettamanzi.
Sul maxi-schermo, poco dopo, scorrono le immagini di quell’Italia-Germania 4-3 che è divenuta icona delle partite di calcio, un ricordo ancorato nell’immaginario collettivo. Nonostante i quattro decenni trascorsi da quel 17 giugno 1970 dei Mondiali in Messico, al gol di Gianni Rivera che sancì la vittoria degli azzurri tutto il palazzetto scatta in piedi esultando. «Il talento è un rapporto diretto con Chi te lo dà - specifica l’ex Golden Boy, oggi presidente del Settore giovanile della Figc -. Non c’è alcun merito nel talento, perché è qualcosa che arriva dal cielo. Ma per non disperdere questo dono servono costanza e impegno». Ciò che, in altre parole, ha coltivato Demetrio Albertini, oggi vicepresidente della Figc, ex calciatore da curriculum con pochi eguali, ma per sempre atleta di oratorio: «È lì che ho cominciato - spiega il centrocampista che ha vestito le casacche di Milan, Nazionale e Barcellona -. L’oratorio mi ha concesso la cosa più bella: quella di cominciare a vivere un sogno, quello di diventare un calciatore. Senza mai dimenticare una cosa: che lo sport non può prescindere dall’aspetto sociale».
L’invito rivolto a tutti i presenti è quello di trasformare il mondo proprio attraverso la pratica sportiva. Che consente di essere comunque protagonista, anche se il punto di partenza è in una posizione svantaggiata. Come per esempio per gli atleti della Briantea 84, impegnati in esibizioni di basket in carrozzina e di basket per ragazzi con disabilità intellettiva. Lo sport come strumento d’incontro è stato efficacemente rappresentato anche da Giusy Versace ed Enzo Masiello, atleti paraolimpici, in grado di testimoniare con la propria vitalità le occasioni di vittoria che la vita ha offerto loro. Ovviamente attraverso lo sport.
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