LA GIOIA DI GIOCARE
Terminata una celebrazione che mi ha occupato la prima parte del pomeriggio mi dispongo anch’io lungo la linea laterale del campo del nostro oratorio per assistere all’ultimo scampolo di partita dei nostri ragazzi. All’improvviso, quasi per un rimpallo strano, un baby calciatore con la maglia gialla riesce a sfuggire al suo marcatore. Qualche passo veloce con la palla tra i piedi lungo la fascia e poi, come le più abili ale, mette un invitante pallone al centro che il nostro attaccante non può far altro che spingerlo in rete. Gol!
Nell’applauso generale, scopro che è il 6 a 1 per noi. Finalmente ce l’abbiamo fatta. Dopo tanta fatica e amare sconfitte, la prima vittoria.
Passano pochi minuti e l’arbitro fischia la fine della gara. In attesa di fare i complimenti e accompagnati dall’applauso di chi rende onore ai vincitori e ai vinti, vedo la frotta di ragazzini con la maglietta gialla e quelli con la maglietta bianca avvicinarsi alle panchine e in un batter d’occhio, quello che doveva essere un normale fine gara si trasforma in una festa accompagnata da urla di gioia e braccia alzate. Niente di strano. Dopo tanto tempo si festeggia una vittoria. Lo strano è che questa gioia era manifestata dagli sconfitti perché avevano ottenuto la possibilità di giocare un altro tempo. Ancora la possibilità di correre dietro un pallone! La festa continua, con la certezza che per i tuoi amici non è ancora giunto il tempo di salire in macchina con i genitori ma devono ancora condividere con te parte del loro tempo. La felicità di trasformare uno spelacchiato campo di oratorio nello stadio più famoso del mondo. Ancora un’occasione di libertà dopo una settimana di "devi", "ascolta", "impara", "fai silenzio", "compiti" e "sbrigati". L’urlo di gioia di chi sa che oggi, almeno, non disturba nessuno e non copre l’assordante rumore della telvisione o la flebile voce del telefonino. Si può urlare di gioia perché ci hanno concesso di essere bambini!
L’aveva già intuito, tanti anni fa, un insigne educatore come don Bosco: "Buttate un pallone in campo e subito avrete tanti bambini a rincorrerlo". Sì, perché per loro, il pallone, non è soltanto un pallone. Per i bambini, una palla è molto di più. E’ lo scrigno dei loro sogni, la speranza di un mondo fatto di amici e non solo di avversari; l’occasione di mostrarsi per quello che si è al di là delle false immagini; è la rivincita sulle occasioni perse; l’imprevedibilità sulla monotonia dell’organizzazione; è apertura contro la chiusura dei grandi… Per questo motivo, io credo, un bambino rincorre il pallone!
Se lo tiene tra i piedi e quasi non vuole passarlo, nonostante le urla dei mister o del pubblico: non vuole perdere quella magia che è tutta sua, non vuole fare a meno di quella ricchezza che niente e nessuno sembra potergli restituire.E’ bello vedere i bambini giocare. Non hanno classe o colpi spettacolari. Hanno soltanto occhi che tanti adulti hanno perso. Gli occhi che guadano dentro quella sfera magica e non trovano schemi, "trivela", "rabona", moviola… ma un dolce invito a calciare, correre, non perderlo, tenerselo stretto fino al momento giusto, quando per incanto gonfia la rete e ti viene spontaneo alzare le mani e attendere l’abbraccio dei tuoi compagni. E’ il tuo gol. L’azione più bella, più spettacolare da ricordare.
Non dimentichiamocelo mai, noi amanti del pallone. Per un bambino la palla che rotola vale di più della classifica, della svista dell’arbitro o della sostituzione. Non derubiamo i ragazzi dei loro sogni, solo per essere felici noi.Questo sabato, i nostri ragazzi non sono contenti perché hanno vinto ma, credo, hanno vinto perché erano contenti!
DON ALESSIO ALBERTINI
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